Cap. 4

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  1. Caramella_Tossica
     
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    Cap. 4


    E’ da quasi un’ora che parla e io non posso fare a meno di ascoltarlo. Sono rapita dalla sua voce, dai suoi gesti… e dalla sua storia. Probabilmente lui ha conosciuto mia madre più intimamente di quanto possa averlo fatto io. Certe cose non si posso confessare ad una figlia, quindi lei aveva avuto bisogno di uno sconosciuto in cui riporre tutte le sue angosce. Sentiva il bisogno di un estraneo che facesse proprie le sue sofferenze , e che la capisse meglio di chiunque altro.
    Non stento a capire il perché abbia scelto Gerard.Ha una sensibilità fuori dal normale…ed è molto simile a lei. Si erano conosciuti due anni fa proprio qui, in questo locale, che è un famoso circolo per artisti.
    Lui stava attraversando un brutto periodo, a seguito di una grossa delusione. Lui l’aveva già notata da tempo, apprezzando i suoi quadri. Inaspettatamente, lei un giorno gli si era avvicinata per chiedergli una sigaretta e avevano incominciato a parlare. Si trovavano benissimo insieme.. sembrava che provassero le stesse emozioni, gli stessi brividi esprimendo la loro arte, e questo li rendeva molto vicini. Parlavano di tutto: della famiglia, d’amore, di musica…
    Si interrompe, guardandomi con un sorriso strano.
    “Mi parlava anche di te, sai?” Mi dice con dolcezza.
    “Davvero?” Gli rispondo stupita.
    Annuisce. “Mi raccontava di quanto la facevi arrabbiare, di quando le disubbedivi… mi ha raccontato persino di quando sei scappata di casa e poche ore dopo l’hai chiamata piangendo, dicendole che ti eri persa…”
    Sento il rossore salirmi alle guance. Come le era venuto in mente di raccontargli una cosa simile?
    Notando il mio imbarazzo, Gerard ride, sfiorandomi una guancia.
    “Non sentirti in difetto. D’altronde queste cazzate le avrà fatte anche lei alla tua età. Mi raccontava queste cose per sentire il mio parere, per vedere se ti stava crescendo nel modo giusto… ti amava più di ogni altra cosa al mondo.”
    Sentendo queste parole, mi giro verso di lui.
    “Lo credi davvero?” gli chiedo.
    “Certo. Ne sono sicuro.” Mi guarda, come se aspettasse un mio gesto per continuare.
    “E poi cos’è successo?”
    Lui continua a raccontare. Dopo un mese erano già come fratello e sorella. Si completavano a vicenda, nel vero senso della parola. Lui la aiutava ad essere veramente se stessa, e lei gli dava fiducia.
    Tutto questo è andato avanti per un anno e mezzo. Si incontravano tutti i giorni al “Bella Muerte”, trascorrendo i loro pomeriggi a fumare e a discutere della vita. Si erano dati due soprannomi: lei “Pittrice del vuoto” e lui “Poeta del nulla”.
    Lo interrompo. “Poeta?” Gli chiedo curiosa.
    “Già. Una specie di “poeta maledetto”.”Mi risponde lui, con un mezzo sorriso sulle labbra.
    Prende un bel respiro e ricomincia a parlare.
    Un giorno, però, tutto è finito.
    Mia madre non si è fatta più vedere al “Bella Muerte”. Lui l’ha cercata dappertutto: ha chiesto in giro, ha cercato un suo segno… ma purtroppo non ha trovato niente, fino a quando ha visto sul giornale il necrologio.
    “Non sapevo neppure se venire o no.” Mi dice, sospirando.
    “Non mi sentivo adatto. D’altronde, non ero neppure un parente…”
    “Hai fatto bene a venire. Insomma… credo che lei ne sarebbe stata felice.”
    Gli rispondo, guardandolo negli occhi.
    Mi sorride. All’improvviso si alza, e si dirige verso la finestrella della camera, che dà sul cortile spoglio.
    Lo raggiungo, poggiando le mani sul freddo davanzale della finestra.
    “L’amavi?”
    Questa domanda mi è rimasta dentro per tutto il racconto. Parlava di lei con una dolcezza particolare, quell’indulgenza che caratterizza una persona innamorata. Volevo chiederglielo subito, ma temevo di spezzare quel nonsochè di magico che si era creato tra di noi…
    Lo guardo, aspettando che mi risponda. La melanconia struggente dei suoi occhi mi stringe il cuore.
    “Cosa te lo fa pensare?” Mi risponde, guardandomi negli occhi.
    “Beh, tutto. Il tuo modo di parlare di lei, la tua disperazione quand’è morta… allora, è così?” Gli rispondo, fissandolo.
    Si gira, appoggiando i gomiti al davanzale. Io lo imito.
    “Non credo che si possa considerare amore quello che provavo per tua madre. L’amavo come si può amare una sorella. Ero molto affezionato a lei.. probabilmente era l’unica persona che mi abbia mai aiutato nel momento del bisogno, nonostante fosse un’estranea.” Si interrompe per guardarmi. “Perché lo vuoi sapere?”
    Sento di nuovo il rossore salirmi alle guance. Ma perché sto arrossendo? D’altronde è una domanda del tutto disinteressata… ma allora perché quel sollievo quando mi ha detto che non provava altro che affetto per mia madre?
    Improvvisamente, me lo ritrovo davanti, sorridente.
    “Allora?” mi chiede, fissandomi.
    “Non lo so..” Tento di sviare la sua curiosità, consapevole di non essere credibile.
    Lui ovviamente non si dà per vinto. Mi alza il mento con un dito, costringendomi a guardarlo negli occhi.
    “Non lo sai? Temo di non poterti credere… sei arrossita troppo per convincermi.”
    A questo punto, credo di esplodere dal rossore. Dannazione.. ma si diverte così tanto a mettermi in imbarazzo??
    “Forse io lo so perché me l’hai chiesto.”
    Mi dice, avvicinandosi pericolosamente al mio viso.
    Chiudo gli occhi in attesa di qualcosa di inevitabile …un bacio.
    Ma lui inaspettatamente mi sposta dalla finestra, quasi volesse vedere meglio al di là del mio corpo…infatti l’ha fatto, mi ha letto dentro, nel profondo.
    Ora mi dà le spalle, interminabili minuti di silenzio, poi riprende il discorso …” Vuoi sapere se un altro uomo oltre a tuo padre è stato degno dell’amore di una donna così speciale come la tua mamma.”
    Non era questo ovviamente quello che volevo sapere, e lui lo sa benissimo!
    Ma sto al gioco, in fondo questo aspetto mi interessa. Se mia madre avesse provato qualcosa per Gerard, sarebbe l’ennesima conferma che è una persona che merita davvero.
    “Non so se lei mi amasse… te l’ho già detto, io le volevo bene come una sorella, niente di più. Ma conoscendola, aveva soltanto bisogno di qualcuno che l’aiutasse a superare la crisi.”
    Sospira, guardando il soffitto.
    “Tua madre era nata per amare, per donare il suo cuore ad un’unica persona.” Mi guarda intensamente, avvicinandosi.
    “E da quello che vedo nei tuoi occhi, tu le somigli molto.”
    Mi prende il viso tra le mani, e inaspettatamente mi dà un bacio sulla fronte.
    Recupera il suo pacchetto di sigarette, che aveva lasciato sul divanetto.
    “Ci vediamo presto, bambina. Ah, grazie per l’accendino.” Mi dice, mentre fa per andarsene.
    Poggia la mano sulla maniglia, senza però spingerla.
    “Ah, già.” Si volta verso di me. “Tua madre mi aveva detto che disegni. Sarei felice di vedere qualche tua opera, se ti va.” Mi sorride per l’ultima volta, poi gira la maniglia e sparisce dietro alla porta.
    Rimango in piedi a fissare il punto dove poco prima c’è stato Gerard per non so quanto tempo.
    Ripenso a tutto quello che ci siamo detti, a tutto quello che ho scoperto, a tutte le volte che mi ha toccato…
    Socchiudo gli occhi cercando la sensazione che ho provato quando lui era a pochi centimetri da me… il suo respiro sul mio viso…
    “Wendy! Cazzo, ti ho cercato dappertutto!! Dov’eri finita?”
    Glen, che ha appena spalancato la porta, mi guarda con espressione preoccupata.
    Mi ero completamente dimenticata di lui e della band!!
    Mi ricompongo e gli balbetto delle scuse.
    “Beh, non fa niente. Dai, vieni che ti porto a casa!!”
    Glen mi prende per un braccio e mi trascina fuori dalla stanza.
    Intanto, il locale si è riempito. Tutta la stanza è avvolta da una spessa nuvola di fumo, che rende l’aria poco respirabile.
    Frank e gli altri mi salutano calorosamente e si fanno promettere di andarli a trovare più spesso.
    Quando sono in macchina, Glen riprende con il suo solito chiacchiericcio. Ma ora non mi sforzo nemmeno di ascoltarlo… continuo a pensare a oggi pomeriggio.
    Non mi accorgo nemmeno che siamo arrivati a casa. Infatti Glen mi deve tirare una gomitata e dirmi di scendere.
    Lo saluto, tranquillizzandolo quando lui mi chiede perché sono così strana.
    Gli prometto di chiamarlo domani, sperando di ricordarmi.
    Mangio con i miei zii, in silenzio. nessuno deve sapere di Gerard… mia zia farebbe troppe domande e mio zio ne farebbe troppo poche, creando rimproveri inutili da parte di sua moglie.
    Dopo cena, vado in camera mia.
    Fisso il soffitto, sdraiata sul mio letto. Non c’è una spiegazione a questo sentirmi strana, a questo mio non riuscire a smettere di sorridere… e non mi interessa. Mi piace, mi rende felice…
    Perché devo farlo smettere? Potrà farmi soffrire… ma ne vale la pena. Sono finalmente pronta.
    Finalmente pronta a lasciarmi andare, a dare tutta me stessa…. per lui
     
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