Cap. 2

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  1. Caramella_Tossica
     
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    Cap. 2


    Salgo in macchina di mala voglia, mentre mio zio si sforza di essere gentile
    Non fa altro che parlarmi per tutto il tragitto verso casa, e io mi guardo bene dal rispondergli.
    Non saprei cosa dire, in ogni caso.
    La casetta dello zio non è cambiata, dalle poche volte che l’ho vista. Mia madre non amava andare a casa dei parenti, diceva che la loro sola presenza le tarpava le ali… ali che non ha mai usato per volare via dai suoi problemi. Ma d’altronde, chi ero io per rimproverarla? Nessuno.
    “La tua camera è laggiù in fondo tesoro. L’ho sistemata come potevo…”
    Lo zio mi rivolge un sorriso a mò di scusa.
    “Hai fatto un bel lavoro, caro. Wendy sarà contenta. Vero, tesorino?” mi dice mia zia, sorridendomi.
    Annuisco. Le avrò detto mille volte che non voglio che mi chiami così…
    Dico ai miei zii che vado a riposare, ma in realtà ho solo voglia di starmene per i fatti miei.
    Appena sono in camera mia, trasalisco inorridita.
    Qualcuno ha coperto tutte le pareti con un’orrenda carta da parati rosa shocking, decorata con altrettanto obrobriose roselline.
    E’ sicuramente opera di mia zia. Si lamentava sempre con mia madre di come mi vestivo..
    “Ma Elena cara, tua figlia è sempre così triste!! Sempre con quelle unghie nere, quei vestiti scuri.. vestila con un po’ di criterio!” Come se io avessi bisogno di qualcuno che mi vestisse…
    Il “criterio” di zia Rachel corrisponde al look da cheerleader…
    Decisamente non il mio stile.
    Tiro fuori la mia roba dagli scatoloni che lo zio Jack ha portato da casa mia, e cerco qualcosa per coprire quest’orrore.
    Dopo una mezz’oretta di lavoro, esamino la mia opera d’arte.
    Ho praticamente ricoperto le pareti di poster, ma purtroppo la carta da parati si vede ancora.
    Beh, almeno è meglio di prima…
    “Cazzo Wendy, qualcuno ha vomitato sulle pareti? Cos’è questo schifo?”
    Questa voce la conosco…
    Glen, il mio migliore amico, sta guardando la carta da parati non coperta dai poster con aria schifata.
    Prima che abbia il tempo di girarsi, gli butto le braccia al collo.
    Lo conosco da quando sono nata. E’ come un fratello, per me.
    Mi stringe forte, accarezzandomi i capelli. Oddio, sto ricominciando a piangere.
    “Ehi, bambina… non ne hai abbastanza della tristezza per oggi?”
    Rido, asciugandomi gli occhi umidi.
    Glen si siede sul mio letto, e si guarda intorno con aria studiata.
    “Certo che Jack si è dato proprio da fare… peccato che tua zia abbia rovinato tutto.”
    Rido di nuovo, sedendomi accanto a lui.
    “Allora, novità?” gli chiedo, cercando di tirare fuori un sorriso.
    Gli si illuminano gli occhi.
    “Abbiamo trovato un posto dove suonare! Sento che questa volta ce la facciamo…”
    Glen suona in un gruppo da un bel po’, circa da due anni. Sono veramente bravi, solo che non hanno ancora trovato uno sponsor che li aiuti a sfondare.
    “Glen, è fantastico! Dove?”
    “Ti ci porto domani!! Vuoi?”
    “Certo!! Ho proprio bisogno di distrarmi un pò e di vedere i ragazzi…”
    Il volto di Glen si rabbuia.
    “Ah.. volevo chiederti scusa a nome di tutti per non essere venuti al funerale… ma temevamo di essere di troppo. Anzi, più che altro fuori posto. Sai, non incontriamo molto in società! Temevamo di metterti in imbarazzo…”
    Guardo i suoi capelli blu e capisco al volo. Già… hanno fatto bene.
    Chissà che faccia ha fatto mia zia quando è entrato in casa!!
    Scoppiamo a ridere.
    “Beh, ora devo andare… vengo a prenderti domani alle 10 e 30. Sarai sveglia?”
    Gli lancio un’occhiataccia.
    “Certo! Guarda che non sono mica come te!”
    Ci abbracciamo e ci salutiamo nel nostro modo: un bacio sulla punta delle dita e una strizzata d’occhio.
    Guardo la sua figura che si allontana. Cavoli se mi è mancato!
    Dopo pochi minuti che Glen se n’è andato, la zia mi chiama per la cena.
    Mangiamo in silenzio, e il chiacchiericcio instancabile del telegiornale fa da sottofondo.
    E’ così diverso da quando ero a casa… io e mia madre mangiavamo con la radio a palla, parlando di qulasiasi cosa e mangiando schifezze. Guardo il pollo arrosto che troneggia in mezzo alla tavola e quasi mi sembra un sogno.
    “Non ti piace, Wendy? Non l’hai quasi toccato..”
    Mi dice la zia, vagamente preoccupata, guardando la coscia nel mio piatto.
    Annuisco vigorosamente.
    “No zia, è buonissimo, solo che… insomma… è così strano..”
    Mi zittisco. Guardo la zia. Le sue labbra tremano, e i suoi occhi si riempiono di lacrime.
    “Oh Dio… povera cara… guarda come ti ha ridotto quella disgraziata! Non era nemmeno capace di cucinarti un pasto decente!” Urla zia Rachel, con voce rotta dal pianto.
    Sento la rabbia montarmi dentro.
    “Rachel, smettila. Credo che Wendy ne abbia sentite abbastanza di cattiverie su sua madre e non credo che sia il caso che tu infierisca. Non ne posso più delle tue accuse.” La voce di mio zio è dura, cattiva. Non l’avevo mai visto così furioso.
    La zia lo guarda sbigottita, quasi spaventata.
    Senza dire una parola, si alza e inizia a sparecchiare. In cucina è calato un silenzio insopportabile.
    Ad un tratto, mio zio si pulisce le labbra con il tovagliolo e si alza di scatto, dirigendosi verso la sala.
    Non so proprio cosa fare.
    La zia continua a sparecchiare imperterrita. Appena prendo un piatto e lo porto verso la lavastoviglie, lei me lo strappa di mano e mi liquida con un “Faccio io, cara”.
    Forse è meglio che mi tolga dai piedi.
    Balbetto a mia zia che esco per un po’, ma lei non mi risponde nemmeno.
    Apro la porta ed esco senza neanche salutare.
    Sono di nuovo da sola. Grandioso. Non so nemmeno dove andare… Glen abita lontano da qui, quindi è improponibile andare a trovarlo.
    Vago per la città senza una meta. Wow, sembra l’inizio perfetto per una poesia… peccato che io non sappia scriverne.
    Fa un caldo insopportabile.
    Siamo nella prima metà di Giugno, è comprensibile. Dio, non ho neanche più la concezione del tempo…
    Ad un tratto, quando sono abbastanza lontana da casa, entro nel parco in cui ero solita andare quando mia madre era ancora viva. Un posto tranquillo, frequentato soprattutto da nonne e bambini, che chiaramente ora è deserto.
    Mi sdraio sull’erba umida, sperando di sentire ancora quella voce, quell’odore di sigaretta….
    “Ciao, dolcezza. Sei un’amante dei prati?”
    Oh cazzo.
    Mi alzo a sedere di scatto, credendo di aver solo immaginato quella frase.
    Aroma inconfondibile di Malboro Rossa. E’ lui.
    Si siede accanto a me. Sembra quasi un dejà-vu, ma è proprio vero: stessa sensazione di intimità, stessa impercettibile complicità tra noi.
    “Ma chi ti manda proprio quando ho bisogno di te?” E’ la domanda che penso di avere negli occhi, mentre lo guardo piacevolmente sorpresa.
    “Avevamo un appuntamento?” Mi chiede beffardo e divertito dal mio imbarazzo evidenziato dal rossore che sta rapidamente infiammando il mio viso.
    “Non ricordo…forse sei tu che mi segui?” gli rispondo cercando di mantenere le distanze e screditare la sua eccessiva sicurezza, fingendo indifferenza.
    Ride. Io sono sempre più rossa. Di rabbia, questa volta. Detesto sentirmi in imbarazzo, specialmente davanti ad un uomo.
    Senza dire nulla mi alzo, o almeno ci provo; qualcosa mi trattiene, la sua mano si è posata sulla mia.
    Mi volto, senza il coraggio di guardarlo negli occhi.
    “No, non ti stavo seguendo, ti stavo cercando. Hai bisogno di me adesso”.
    “Perché? Io non ti conosco. Tu cosa sai di me?”.
    “Quanto basta per capire che ora sei sola, spaventata e piena di rabbia. Sbaglio?!”
    No, non ti sbagli Gerard, ma chi sei? Come mai eri al funerale di mia madre? La conoscevi o per qualche strana ragione forse conosci me da sempre e hai aspettato proprio questo momento per avvicinarmi? Tutto ciò è inquietante, ma mi piace…mi piace, mi attira anche se ogni singola particella del mio corpo mi avverte di un pericolo, una minaccia. Vuoi farmi del male? O sei venuto per salvarmi?
    “Chi era per te mia madre?”
    La domanda rimane sospesa nell’aria.
    Gerard osserva gli anelli di fumo quasi non mi avesse sentito. Poi lentamente spegne la sigaretta schiacciandola minuziosamente con il piede fino a soffocare anche l’ultima brace. Prende tempo; forse sta cercando le parole giuste per confidarmi chissà quale segreto.Sospira sommessamente.
    “E’ una storia lunga e tu devi andare a dormire presto bambina, la prossima volta, se farai la brava te la racconterò, d’accordo?”.
    “Ma per chi mi hai preso? Non ho mica cinque anni! E poi le storie non mi sono mai piaciute!! Voglio la verità! Tutta e subito!!!” Mi accorgo che sto urlando. Tutta la rabbia accumulata durante il giorno si sta sfogando solo adesso…
    Sto tremando come una foglia. Negli occhi le lacrime represse pungono come spilli, ma l’orgoglio è più forte. Mi ricompongo e faccio un bel respiro.
    “Scusa. Forse ho esagerato. In fondo, non me ne importa niente di te e di quello che hai da dirmi.”
    Impassibile, si accende un’altra sigaretta.
    “Va bene. Quand’è così.. solo una cosa. Tu hai qualcosa di mio.”
    Sto per rispondergli di nuovo male, quando mi ricordo dell’accendino che ho trovato dopo il nostro primo incontro.
    “Non ce l’ho con me. Mi dispiace. Dove posso fartelo avere?”
    “Puoi lasciarmelo al “Bella Muerte”, in Barker Street.”
    Annuisco, anche se non ho la più pallida idea di dove sia. Chiederò in giro.
    Si volta e se ne va, portando con sé tutti i miei dubbi.
     
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